San Bernardino

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Bernardo Spoto

sabato 8 dicembre 2007

PRODI VUOLE RIVOLUZIONARE IL DIRITTO DI CITTADINANZA PER GLI IMMIGRATI di Aurora Franceschelli

di Aurora Franceschelli - 1 giugno 2006

Da due giorni le periferie di Parigi sono tornate a bruciare. Dopo gli episodi dell'autunno scorso, durante i quali esplose dirompente un'escalation di violenza, nelle banlieues pare nuovamente riacutizzarsi un problema, quello del disagio dovuto alla mancanza di integrazione degli immigrati di seconda e terza generazione nel tessuto socio-economico francese: un nodo sociale che non può essere risolto nel breve periodo. Era proprio nell'ottica di porre rimedio ad una situazione estremamente delicata che il Governo De Villepin aveva proposto l'introduzione del contratto di primo impiego: questo provvedimento avrebbe dovuto ovviare ad una situazione di disoccupazione giovanile che, se a livello nazionale si attesta intorno al 22%, nelle periferie cittadine sale addirittura al 40%: è soprattutto l'alta percentuale di disoccupati che costituisce l'«esercito» di coloro che si ribellano, di coloro che non accettano un modello che non gli ha consentito un vero processo di integrazione. La politica di assimilazione che la Francia adottò quindici anni or sono, che si poneva quale obiettivo l'inserimento sociale degli «stranieri» attraverso la concessione della cittadinanza senza particolari freni, cosa ha prodotto? La Francia rappresenta una sorta di laboratorio, è la chiara dimostrazione che un modello così concepito non produce altro che violenza, imbarbarimento, frattura sociale e insicurezza civile.

L'Italia, fino a questo momento, ha potuto godere di uno scenario molto più incoraggiante: le politiche del Governo Berlusconi in tema di immigrazione hanno avuto un impatto sicuramente positivo. Grazie alle misure adottate dall' Esecutivo di centrodestra gli sbarchi dei clandestini sono diminuiti di oltre il 50%, gli espulsi sono stati circa 65.000 mila e sono stati regolarizzati 635 mila lavoratori immigrati. Il nostro Paese ha potuto vantare, fino ad ora, l'esistenza di una regolamentazione molto severa in tema di politiche migratorie. Da noi infatti sono necessari dieci anni di permanenza sul suolo italiano per ottenere la cittadinanza, ai quali bisogna aggiungere un altro periodo di due o tre anni prima che venga accordato tale diritto.

Questa regolamentazione rischia di essere sovvertita dall'attuale Governo di centrosinistra: Prodi, nella riunione del Consiglio dei Ministri odierna, ha presentato una proposta di legge che, se approvata, andrà ad accrescere il numero dei cittadini italiani di ben un milione. Il provvedimento in questione, infatti, prevede che chi vive e lavora in Italia dovrà attendere sei anni per richiedere la cittadinanza italiana (anzichè i 10 attuali). Non solo, la sinistra ha deciso di andare oltre, di avere un occhio di riguardo anche per le generazioni di giovani figli di immigrati. Ora, secondo le norme vigenti, non è possibile per i giovani che non abbiano compiuto ancora il diciottesimo anno di età ottenere la cittadinanza. La nuova maggioranza vorrebbe abbattere questa barriera e introdurre il «diritto di suolo», lo «ius soli»: se verrà istituzionalizzato questo principio, chi nascerà su suolo italiano, indipendentemente dalla famiglia o dal Paese di provenienza, avrà automaticamente diritto alla cittadinanza italiana.

Ora, alla luce dei cambiamenti che potrebbero investire il nostro Paese con l'introduzione di questa nuova regolamentazione, ci si potrebbe interrogare sulle conseguenze di un simile provvedimento, una misura che si andrebbe ad aggiungere alla politica di estrema apertura ai flussi migratori che le ali radicali dell'Unione, vedi Caruso, vorrebbero istituzionalizzare: la Francia, sotto questo punto di vista, costituisce un utile modello di confronto; qui i figli di immigrati di prima generazione hanno ottenuto la cittadinanza francese grazie allo ius soli; sempre qui, Oltralpe, agli immigrati non nati sul suolo nazionale sono sufficienti cinque anni per ottenere questo diritto. Il disaccordo totale della compagine governativa prodiana su temi quali lavoro, immigrazione, tematiche socio-economiche e la forte propensione alla demolizione di quanto edificato con cinque anni di duro lavoro dal Governo Berlusconi, non induce certo a considerare un tale provvedimento come una misura utile al nostro Paese. Se da una parte il problema dell'invecchiamento della popolazione e del calo demografico possono rappresentare un alibi per una soluzione di questo tipo, dall'altra una decisione di tale portata andrebbe contestualizzata: un atteggiamento troppo lassista sulla regolamentazione del diritto alla cittadinanza potrebbe essere deleterio. Senza certezze sociali questi nuovi «cittadini» italiani rischierebbero di trasformarsi in un potenziale focolaio di rivolta. Ma come intende garantire queste certezze il nuovo Governo? Abbattendo la legge Biagi? Questo porterebbe alla diminuzione dei posti di lavoro e alla reale istituzionalizzazione della precarizzazione. E così la sicurezza sociale viene meno: per noi e per gli immigrati regolarizzati.

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